Bud Spencer – Il nostro ricordo
di Romana Russello
Mio fratello che ci ossessionava con i suoi (loro) film. Appena li vedeva in tv si impossessava del telecomando e silenzio assoluto. Tutti incantati a veder un film per la ventesima/trentesima volta come fosse la prima. Sì, perché li si vedeva tutte le volte che li passavano. Tutti insieme. Il ricordo che ho di Bud Spencer lo associo a questo. Ad un momento in cui tutta la famiglia era riunita. (sembra qualcosa di preistorico adesso che ognuno usufruisce dei vari apparecchi, ognuno ne ha più di uno, in tempi e modi diversi, in solitaria). Ed anche quando siamo diventati troppo grandi per ridere ancora di quei pugni, di quelle sberle bilaterali, di quelle scene grottesche, abbiamo continuato a guardare film che conoscevamo a memoria. Ed il merito è tutto suo.
Se n’è andato uno di famiglia. Perché riuniva la famiglia.
Una persona che nonostante la stazza ispirava bontà.
Mi è capitato di incontrarlo una volta, venne nella mia città per un’inaugurazione, e si fermò a fare foto con tutti, grandi e piccini. Che poi accanto a lui eravamo tutti piccini.
Sorrideva a tutti, parlava con tutti. Per ore. Gentile e disponibile.
Veramente un gigante buono, un uomo con un gran cuore e tanta umiltà.
In questi giorni che stanno ripassando i suoi film io, nonostante viva da sola, rivedendoli mi sento di nuovo nel salone di casa con tutta la mia famiglia. Anche con chi non c’è più.
Lui è il ricordo di momenti felice della mia infanzia.
Il nostro ricordo
di Silvia Azzaroli
Ieri tra gli svariati commenti che ho letto di cordoglio mi ha colpito uno in particolare.
Un ragazzo sosteneva che la scena, la famosa scena del coro dei pompieri di “Altrimenti ci arrabbiamo” avesse qualcosa del cinema di Wes Anderson.
E io dico che non è un’eresia.
Anderson ha sempre usato un’ironia sottile, mai volgare, forse trash sì, ma non volgare, per parlarci di cose serie.
Lo ha fatto anche nel suo ultimo film “Grand Budapest Hotel”.
La leggerezza dei film di Bud e Terence era un’arma vincente.
Non hanno mai voluto essere film di autore (e non intendo certo dire che lo fossero), ma a loro modo hanno saputo parlare di cose importanti.
Sempre con il sorriso sulle labbra, facendoti sentire a casa.
In “Io sto con gli ippopotami” si parla di ecologia, magari in maniera un po’ ingenua, ma lo si fa e in un periodo dove non ne parlava nessuno e non era affatto una moda.
Sempre nello stesso film si parla del rispetto per le cose sacre degli altri.
Un rispetto assoluto.
In “Miami Supercops” l’ultimo film insieme prima di una lunga pausa, interrotta soltanto nel 1994 con “Botte di Natale”, si parla del valore dell’amicizia.
E mai come in quel film sentiamo che siano Bud e Terence a parlare.
Nessuna litigata, come negli altri, solo la voglia di stare vicino e lavorare insieme.
Il grande valore dell’amicizia, della loro amicizia, ci fa pensare a qualcosa di perduto e nel contempo eterno.
Terence parlando dell’amico appena defunto ha detto poche strazianti parole:
“Ho perso il mio amico più caro. Sono sconvolto.”
E poi ha preferito chiudersi nel suo dolore perché certe sofferenze sono private e ringrazio la stampa per non aver insistito, una volta tanto.
Ci hanno dato tanto della loro amicizia, lasciamo che questo resti privato, come tantissime altre cose.
E sempre a proposito di amicizia mi viene in mente “Altrimenti ci arrabbiamo” come il pacifico Bud esploda infine quando toccano il loro anziano e indifeso amico e dimostra quanto sia vero il suo detto:
“Non c’è cattivo più cattivo di un buono che diventa cattivo.”
Era un gigante buono che diventava cattivo solo per difendere ciò che riteneva giusto, per le persone indifese, per i suoi cari, per gli amici.
Senza scordarsi di altre lezioni.
In “Bomber” l’ex teppistello Giorgione imparava che:
“Nella vita non ci si deve mai arrendere, si deve sempre lottare!”
E scusate se è poco.
Mentre nei vari film di Piedone denunciava, a suo modo, la corruzione delle forze dell’ordine in tutti i posti della terra ma anche il senso comune del dovere tra gli agenti onesti, che erano desiderosi di fare la cosa giusta, pur sapendo di non ricevere mai compensi.
Film malinconici quelli di Piedone, con la solita sottile ironia, in cui possiamo sentire finalmente la sua voce, con tanto di meraviglioso accento napoletano, di cui era giustamente orgoglioso.
Grazie per tutto Bud.
Ora so che stai cantando con gli angeli il tuo mitico: “Popopopo…”
P.s: grazie anche per averci fatto riscoprire il gusto di mangiare pure le cose più semplici!
Ri.P.s: oggi ho mangiato un piatto di spaghetti aglio e olio in tuo onore! So che avresti gradito!
Nato con la camicia
di Sauro Scarpelli
NATO CON LA CAMICIA
Era un gigante buono Bud Spencer, una delle figure più familiari del cinema italiano (nel senso letterale del termine, cioè parte – quasi – della ns famiglia), che insieme a Terence Hill ha costituito per quasi mezzo secolo una delle coppie più amate e longeve del grande schermo. Il paragone più naturale è quello con Franco e Ciccio, ma anche Stanlio e Ollio, Gianni e Pinotto, Fernandel e Gino Cervi… coppie di comici che hanno fatto storia, spesso sfruttate e spremute fino all’inverosimile, battendo finché era caldo il ferro della popolarità. Eppure Bud Spencer e Terence Hill erano una coppia a loro modo atipica, nel senso che non possiamo definirli comici in senso stretto sebbene i loro film, innegabilmente, provocassero sempre grasse risate. Gli ingredienti li conoscete tutti: grande complicità, equivoci continui, mimica inconfondibile e, ovviamente le interminabili scazzottate dove, pur distruggendo qualsiasi cosa sul loro cammino, non si faceva mai male nessuno…
Due superpiedi quasi piatti (come recita il titolo di uno dei loro film più famosi), diversissimi fisicamente e caratterialmente, eppure sempre dalla stessa parte: quella dei più deboli, degli emarginati, di coloro che non hanno voce. Per questo Bud Spencer e Terence Hill rimarranno degli eroi del cinema popolare: per quanto sconclusionati, infatti, i loro film hanno tutti un risvolto sociale abbastanza amaro, descrivendo un mondo nient’affatto perfetto, che difficilmente potrà cambiare a suon di sganassoni. Terence, il biondo, è l’eterno seduttore, il furbetto, la ‘mente’ della coppia, che spesso e volentieri manipola a suo piacimento il compagno orso e bonaccione. Mentre il compianto Bud è, appunto, un omone burbero e manesco che nasconde dentro di sé un cuore d’oro: è uno che vorrebbe sempre nascondersi da un mondo che non ama, ma che non esita a tirarsi indietro quando sente odore di ingiustizia.
Mi viene a mente uno dei loro film più famosi, esemplare in tal senso, ovvero “Nati con la camicia”: è stato girato oltre trent’anni fa (è del 1983) eppure quando passa in tv lo rivedi sempre con piacere. E’ un po’ il ‘manifesto’ (parola grossa, ma suona bene) del loro cinema: due tipi qualunque, con non pochi problemi (uno è un ex-galeotto appena uscito di galera, l’altro un ventriloquo giramondo spiantato e nullafacente) che per un clamoroso malinteso si ritrovano coinvolti in un affare più grande di loro: scambiati per due agenti segreti (!) dovranno catturare, con qualunque mezzo, un pericoloso milionario psicopatico che si è messo in testa di distruggere il mondo..
Le cose ovviamente andranno nel modo in cui tutti immaginate… la trama, esilarante e ben scritta nella prima parte, diventa via via più confusionaria man mano che ci si avvicina all’epilogo: eppure non si ha mai la sensazione di fastidio, il dubbio che qualcosa non torni. Tanto si sa come andrà a finire, e quindi è meglio concentrarsi sulle gag e sulle gragnuole di pugni assestate dai due protagonisti, in particolar modo dal granitico Bud: lui è come un vecchio amico che ogni tanto è bello invitare a cena: lo conosci bene, sai che l’educazione non è proprio il suo forte, ma le risate sono sempre garantite, tanto da perdonargli tutto.
Intendiamoci, questo articoletto non ha la minima intensione di essere ‘revisionista’… nel senso che non voglio assolutamente spacciare per cinema ‘serio’ ciò di cui ho scritto finora. Per cui stavolta mi astengo dal mio finto mestiere di ‘critico’, permettendomi però di ricordarvi una cosa: che un pezzo di storia della settima arte passa anche per i b-movies, pellicole che certo non sono capolavori (proprio no!) ma che fanno ridere (tanto!) e hanno una clamorosa presa sul pubblico, tanto da passare e ripassare, a qualunque ora, su tutti i canali televisivi per più e più volte. E il cinema, non mi stancherò mai di dirlo, è prima di tutto e più di qualunque altra un’arte ‘popolare’.
E non è certo un caso che oggi ai funerali di Bud Spencer (anzi, Carlo Pedersoli, giusto chiamarlo per una volta col suo vero nome) ci fosse un’interminabile, ordinata, commossa fila di colleghi, amici e gente comune: lui era amico di tutti, la sua faccia e il suo fisico corpulento erano in qualche modo rassicuranti, piaceva ai nonni come ai ragazzini. Nella sua lunga carriera ha interpretato più di cento film, ma prima di arrivare al cinema è stato anche nuotatore, diplomatico, pilota di elicotteri e facchino, dividendosi tra Italia, Stati Uniti e Sud – America, ma non rinnegando mai la natia Napoli (arrivando ad affermare “sono prima napoletano che italiano”)
“La mia vita è stata molto movimentata, sono stato sempre un uomo curioso, attento, instancabile. Praticamente ho girato il mondo e ho fatto mille mestieri prima di diventare attore”
Ci mancherai, caro Bud.
Alla fine vincono sempre i buoni
di Chiara Liberti
La memoria a volte è una cosa proprio strana.
Sei concentrato nello svolgimento di una qualsivoglia attività, quand’ecco che un ricordo esce da uno dei cassetti in cui è depositato e d’improvviso sei catapultato in un’altra dimensione temporale. Può accadere in ogni momento ed il ricordo può essere una voce che non sentivi da tempo, un profumo dimenticato, una foto sbiadita dagli anni.
Quando l’altra sera ho appreso della morte di Bud Spencer i miei cassetti della memoria si sono imbizzarriti, proprio come nella famosa scena in cui Mary Poppins mette in ordine, “a modo suo”, la camera dei bambini.
Mi sono ritrovata di colpo piccola piccola, seduta su un divano grigio con la mia famiglia, a ridere come non mai per l’ennesima scazzottata in cui i cattivi venivano messi in fuga da un gigante buono di nome Bud Spencer. Sono tornata alle elementari, in quella classe dalle finestre incorniciate di rosso, ad applaudire quei compagni che avevano avuto l’ardimentosa idea di mettere in scena la scazzottata della sera precedente: Bud era una delle poche concessioni che ci permettevano di sforare l’orario di messa a letto e noi ci sentivamo un pochino più grandi quando andavamo a dormire alle 22:30. Passati i ricordi dell’infanzia, quelli dell’adolescenza e successivi non si sono differenziati di molto, almeno non nella sostanza: i cattivi continuavano ad essere sonoramente e bonariamente massacrati e resi innocui, mentre i buoni alla fine avrebbero sempre avuto la meglio, difendendo i più deboli, coloro che non avevano né voce né forze per resistere alle angherie di chi crede di avere la meglio su tutto e tutti.
Con Bud non se ne va solo il “gigante buono”, come molti l’hanno giustamente definito.
Con lui se n’è andato un intero pezzo di esistenza, quello che ancora non smette di credere che un giorno i buoni vinceranno proprio come i suoi personaggi. Se ne va un cinema pulito, forse semplice ma non sempliciotto, spensierato ma non banale, e capace di regalarti sempre una briciola di morale e di speranza.